Il Blog del Fiume Volturno

Blog dedicato a chi desidera contribuire alla salvaguardia ambientale del più grande fiume del Sud Italia

sabato 29 novembre 2008

Capua, Volturno, effetto pioggia

Oggi mi sarebbe piaciuto scendere vicino all'acqua, sentire la sponda morbida sotto le suole degli stivali, annusare gli odori di muschio e di funghi che, in questo periodo, pervadono l'aria al di sotto della linea dell'argine. Ma la pioggia incessante da giorni cade sull'intero bacino del Volturno, e mi induce ad una gita più breve, sotto casa, quella dove sono nato.


Capua è cinta dal fiume Volturno a partire da Porta Tifatina, il varco verso Caiazzo ed il Sannio, incassato tra la murazione spagnola della città ed il fiume.



Da qui, mentre piove, posso vedere il gruppo di Monte Tifata, la cima più alta, poco più di 600 metri, e scorgo un Volturno limaccioso, con il livello delle acque appena sopra il sottosponda, l'acqua lenta, che si gonfia, ma piano. A mare c'è vento, da qui si è da poco entrati in bassa valle, e lo Scirocco può poco per rallentare il deflusso dell'acqua, raggiunta appena questa notte dalla neve del Matese, che si è sciolta troppo presto. Le previsioni meteo di oggi danno una settimana ancora di maltempo. Eppure è dal gennaio 2005 che qui non si vede più una piena. In quel primo mese di oltre tre anni fa di eventi se ne contarono ben tre. Dopo quell'annata ricca d'acqua, è arrivato il caldo inverno 2005/2006. Tanta poca pioggia nel 2006, che la portata media del Volturno in quell'anno si attestò ad un -39,7% rispetto alla portata media storica di 82 metri cubi d'acqua al secondo. Per lo scorso anno, ancora siccitoso, vedremo presto i dati: saranno resi noti dall'Istat il 2 dicembre prossimo. Ed eccomi al Ponte Romano



Si vedono ancora i resti di una vecchia piena, tronchi che sono lì da tre anni e più. Ma l'idrometro è asciutto, eccolo qui sotto.


Vedremo insieme cosa accadrà in questa prossima settimana, in fondo l'autunno non è stato dei più asciutti e si avvicina dicembre, il mese d'oro per gli eventi di piena, per le alluvioni.
Come lo so? Ecco a voi...i livelli di piena di largo Eboli, Capua, sotto la pioggia, fotografia un po' mossa. Sono le tre tacche sul muro della chiesetta del Seminario, la più bassa in granito, le più alte in marmo, rifatte da poco.


La tacca più alta, ad oltre tre metri dal piano stradale, segna una data precisa, da anniversario:


Non è uno scherzo, ma poco meno di 40 anni fa l'acqua giunse proprio a quel livello. E i fiumi sono soggetti, ciclicamente, a ripetere episodi simili, se pur a distanza di molti anni. Tecnicamente si definisce "periodo di ritorno" il tempo che intercorre mediamente tra due episodi molto simili, per intensità e caratteristiche che lo hanno generato. Vi sono periodi di ritorno di 50 e 100 anni, e più si avvicina la data dell'anniversario fatidico e maggiore è l'attenzione che occorre prestare al fiume. L'appuntamento con la piena, con l'inondazione, può essere solo rinviato per fortuna o mitigato con l'intelligenza. Ma prima o poi l'uomo è chiamato a pagare il suo tributo al fiume, è il corrispettivo che paga per averne invaso il territorio.

A proposito di tributi, guardate questa foto che segue: sono le 12 di un sabato, è ora di traffico, sul ponte della Strada Statale n. 7 "Appia" si procede a senso unico in direzione Sud.


In tanti anni ci si è preoccupati di molte cose, ma non della furia del fiume e dell'incessante traffico quotidiano che lentamente hanno scosso le strutture portanti del Ponte della Statale 7.


Il ponte ha oggi bisogno di lavori di consolidamento statico ed è stato recentemente dichiarato non agibile al traffico bidirezionale. E' stato anche vietato il traffico ai mezzi pesanti. La Città di Capua ha avuto in "regalo" la gestione del ponte dall'Anas, ma non ha i soldi per i lavori. Li troverà? Si spera di si. Intanto, per attraversare Capua è obbligatorio imboccare il Ponte Romano per andare in direzione Nord, altro senso unico, e c'è solo il ponte della Statale 7 per procedere in direzione Sud. Dimenticavo: 15 anni fa, era stato dichiarato parzialmente inagibile anche il Ponte Romano, e da anni già era impiegato a senso unico, caricando parte del traffico urbano sul Ponte della Statale 7. Per attraversare il Volturno con autocarri in doppio senso di marcia bisogna risalire a monte di alcuni chilometri, a Ponte Annibale: tra Capua e Bellona. In un posto bello, ma piuttosto fuori mano. O tornare sull'A1! Si discute da 20 anni su come e dove dotare questo territorio di un quarto ponte stradale. Ma per il momento è ancora un pezzo di carta, un progetto. Nel frattempo si è costruita una superstrada, che muore qualche chilometro prima, a Santa Maria Capua Vetere, collega bene quel centro a Caserta, ma non supera il Volturno. Intanto il fiume e gli elementi consumano, lentamente ed inesorabilmente, l'opera dell'uomo: i vecchi ponti costruiti frettolosamente nel dopoguerra, per porre rimedio ai danni del bombardamento alleato di Capua del 9 settembre 1943.

Spesso gli uomini dimenticano il Volturno sotto gli argini, lo guardano dall'alto in basso, con noncuranza. Ma siamo solo fuscelli, che lui può sempre spazzare via furiosamente. Gli anziani della mia città mi hanno lasciato in eredità un detto che recita più o meno così: "L'incedio si può spegnere con l'acqua, ma la piena si può solo aspettare che passi". E' un modo per dire, con solo apparente ovvietà, che del fiume non ci si può dimenticare, non ammette ritardi, omissioni, manovre dilatorie.



E' tutto per oggi, ma durante questa settimana tornerò spesso a trovare l'amico Volturno, ho voglia di leggere, e di scrivervi, cosa ha da dirmi ancora, scrutando tra le pieghe dei suoi vortici, delle sue correnti. Dicembre si avvicina.

domenica 23 novembre 2008

I predoni del Volturno, ecco l'impronta

Oggi torno sul fiume Volturno, così come sarei tornato a casa di un amico: per fargli visita, ma anche per rendergli un po’ di quella giustizia che troppo spesso gli viene negata. Se la merita tutta questo fiume. Le canne da pesca restano a casa, oggi non mangerò pesce. Mi fanno invece compagnia: il taccuino, la macchina fotografica, un termometro, un metro da muratore. Strumenti che userò per misurare quanto è straordinariamente grande l’umana stupidità. Per tentare di raccontare ad ognuno di voi quanto l’uomo sa essere insensato nei confronti della natura: un predone dalla memoria corta.

Eccomi a Ruviano, in provincia di Caserta, nella media valle del fiume Volturno, lungo la strada provinciale Ruviano – San Domenico.




La imbocco e mi lascio alle spalle “la dormiente del Sannio”, così è chiamato il complesso dei Monti Taburno e Camposauro.


Sulla mia destra si affaccia il Massiccio carbonatico del Matese.



Tra pascoli, vigne, oliveti e coltivi, che degradano dalle basse pendici del Monte Maggiore, inizio ad intravedere il filare di salici, ontani e pioppi che segna nel fondovalle la presenza dell’amico di sempre, il Volturno. Qui scorre, a tratti stretto ed incassato ed a tratti ampio, tra il Matese ed il Monte Maggiore, tra raschi e buche, tra piccoli salti e rapide. Un paesaggio romantico, costellato di frammenti di tufo di origine vulcanica e di ghiareti carbonatici.


Poco dopo il bivio Piedimonte Matese – Alvignano, proseguo in direzione Piedimonte, e torno sul posto da me scoperto il 18 agosto del 2006, scendendo in acqua dalla riva destra del fiume Volturno. In quel pomeriggio di pesca di oltre due anni fa, mi ritrovai di fronte un grande lavoriero abusivo, che sbarrava il corso del fiume. Il lavoriero aveva ancora le reti tese tra un palo e l’altro. Si poneva come una grande “V” incastonata tra le rive destra e sinistra, posto lì con la chiara intenzione di catturare il pesce con l’uso di esche non consentite, o per raccoglierlo nella rete a sacco posta a valle mediante stordimento. Il vertice della "V" era rivolto verso valle.
Immediatamente segnalai l’abuso al Corpo Forestale dello Stato, con una telefonata al 1515. Una pattuglia si recò sul posto prima del tramonto a constatare l’attendibilità della mia segnalazione. Il lavoriero, come ogni sistema di pesca che sbarra il fiume, in questa zona è doppiamente illegale. E’ fuorilegge già solo costruirlo, perché ancor prima di integrare il reato di bracconaggio, vìola numerose norme di polizia idraulica. Sbarrare un fiume può essere pericoloso. Perché si altera il naturale corrivamento delle acque, e il conseguente lavoro di trasporto dei sedimenti e del materiale a valle. Si finisce, in pratica, per costruire una sorta di piccola diga, illegale e pericolosa, perché ingestibile durante le piene.

Eccomi arrivato. Purtroppo si comincia male: rifiuti abbandonati davanti al sentierino di accesso al fiume.


E pensare che qualcuno aveva anche apposto un bel cartello di divieto di discarica! Tempo perso.




Strano a dirsi, ma il lavoriero dopo due anni, tre mesi e 5 giorni dalla mia segnalazione alla Forestale è ancora lì. Nessuno lo ha rimosso. Il fiume, con le sue onde di piena ne ha semidistrutto le reti. Ma i pali ci sono, tutti o quasi.



Eppure questo posto è molto bello. Il lavoriero appare abbandonato, i bracconieri, sentita puzza di bruciato, non sono tornati. O forse hanno fatto tanto di quel danno da non trovare più conveniente rischiare tanto per così poco. Ecco come si sviluppa.



Ho preso anche le misure. La paleria, in legno di castagno, è alta mediamente 50 centimetri, dal fondo del fiume, che qui è molto basso ed ha una corrente molto veloce: tecnicamente un tratto di fiume così si chiama “raschio”: perché l’acqua raschia veloce il fondale basso e ghiaioso.

Lungo il raschio i due rami della grande "V" si sviluppano per 30 metri lungo la riva sinistra, e per non meno di 25 metri lungo la riva destra, dalla quale sono sceso in acqua, indossando stivali cosciali. Il tutto per non meno di 55 metri di rete da circuizione, sacco escluso.



La foto sopra è scattata verso monte con i piedi dentro il “finale” del lavoriero, ovvero il vertice della V, rivolto verso valle, che consente in questo caso l’utilizzo di una rete a sacco del diametro di 4 metri. Questi dati li riporto perché si possa avere un’idea della redditività dell’ordigno, nel quale sicuramente si sono svolte delle vere e proprie mattanze illegali di pesce pregiato: trote, barbi, cavedani. La maglia della rete ha un lato di poco superiore ai 2 centimetri, pesca grossa è evidente. L'acqua è limpida.



Qui oggi, tra le ore 13 e le 14 si registra una temperatura dell’aria di 9 °C, mentre l’acqua è un po’ più calda: 11 gradi Celsius.

Domanda: perché questo lavoriero è ancora qui, nonostante sia stato segnalato più di due anni fa? Conflitti di competenza tra gli enti, lentezze burocratiche o mancanza di fondi le possibili risposte, al solito. La cosa è ancora più grave, se si considera che qui mi trovo tra due parchi regionali, Matese e Monte Maggiore – Monte Monaco, mentre la media valle del fiume Volturno è già stata riconosciuta come Sito di Interesse Comunitario, e sta per diventare anch’essa parco regionale.




In queste acque, con queste temperature, normalmente si trovano cavedani e barbi nelle zone a corrente veloce e medio veloce. Le buche riservano sorprese, quanto alla presenza di carpe di grosse dimensioni. Ma in tratti come questo - con un’acqua di qualità in Classe II, stando alle metodiche di analisi del CNR – potrebbero riprodursi anche le trote. I predoni del fiume che avevano costruito questo ordigno illegale non erano degli incompetenti.
Tocca ora alle "autorità competenti" fare piazza pulita al più presto di questo scempio. Anche perchè potrebbe essere nuovamente usato per predare il fiume.